Quinto Martini

QUINTO MARTINI - BIOGRAFIA di Luciano Martini

Quinto Martini - Biografia Quinto Martini nel 1938
Quinto Martini Pittore e Scultore, 2004, Aiòn Edizioni
Quinto Martini - Biografia Quinto Martini nello studio di via Giambologna
Quinto Martini Pittore e Scultore, 2004, Aiòn Edizioni
Quinto Martini - Biografia Quinto Martini nel suo studio di Borgo Pinti
Quinto Martini Pittore e Scultore, 2004, Aiòn Edizioni
Quinto Martini - Biografia Quinto Martini, Ritratto di Eugenio Montale
Quinto Martini Pittore e Scultore, 2004, Aiòn Edizioni
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L'infanzia a Seano

"Sono nato a Seano in un giorno di pioggia, il 31 ottobre del 1908. Figlio di contadini ho lavorato da ragazzo la terra, alternando al lavoro dei campi quello di sporcare con carbone e colori i muri della mia casa e le pareti della mia camera, modellando figurine, cavalli, e intere battaglie per i miei compagni, senza sapere che mai ci fossero stati degli artisti, e cosa fosse l'arte." Nel 1939 nell'autopresentazione per la III Quadriennale d'arte nazionale di Roma Quinto Martini racconta: "Figlio di contadini ho lavorato da ragazzetto la terra insieme coi miei e durante le ore di riposo, nei pomeriggi d'estate, all'ombra delle viti e degli alberi del campo, presto incominciai a impastar mota, cercando di ritrarre i corpi degli uomini che dormivano sdraiati sull'erba." Questi due brani autobiografici evocano con efficacia l'ambiente entro cui il ragazzo Quinto faceva d'istinto i primi passi del suo cammino artistico.

 

Seano è una località del Comune di Carmignano, vicina alle ville medicee di Poggio a Caiano e di Artimino. E' circondata da una verde catena di colline, ricche di viti e ulivi, che si susseguono e intersecano tra loro, denominata il "Montalbano di Prato". Sulle pendici del Montalbano, lungo la strada che da Carmignano porta ad Empoli, è situata la cittadina di Vinci, il luogo natale di Leonardo, che passò parte della sua infanzia presso la nonna materna, nella campagna di Bacchereto, a circa 5 Km. da Seano. A Vinci erano nati la madre di Quinto, e lo zio Beppe che "sa tutto su Leonardo". Tra le sue carte Quinto ha lasciato un piccolo vecchio diario dove racconta i festeggiamenti organizzati a Vinci nella primavera del 1919 per il centenario della nascita di Leonardo. Scrive: "mia madre così mi parlava di Leonardo come una persona a lei familiare, un vicino di casa. (…) Tutti questi discorsi finivano per rendermelo familiare anche a me e qualche anno dopo quando mi misi a modellarlo mi sembrava di fare il ritratto a il mio nonno. Tutti mi davano consigli ma io accettavo solo quelli di mia madre perché avevo l'impressione che la sua fronte alta e le labbra gli assomigliassero. Più tardi cercavo di fare il ritratto a mia madre e poi le aggiungevo lunghi capelli e fluente barba." Leonardo è stato sempre per lui la figura del "genio" "al di sopra e al di là di ogni tempo", una sorta di nume tutelare della sua vita di artista.

 

A Seano i Martini, una famiglia contadina patriarcale, possedevano un grande podere dove, accanto alla terra e alla casa, avevano anche una fornace per la cottura del materiale edilizio impastato con la calce ricavata dal 'sasso alberese' di cui è ricca la zona di Bacchereto. Nella fornace il ragazzo Quinto ha cominciato ad impastare e modellare per riprodurre ciò che la natura e la vita offrivano alla sua osservazione. Scriverà molti anni dopo nell'autopresentazione citata: "Non stò dietro a polemiche, non sfoglio riviste per aggiornarmi, ho in avversione qualsiasi arte che sappia di intellettualismo e di moda. Amo invece quanto a me osservare le persone e la vita che si muovono intorno di continuo; e vorrei raffigurare ed esprimere con semplicità di linee e larghezza di piani gli aspetti più caratteristici e poetici di questa natura." Nel suo percorso artistico e culturale contarono molto, come vedremo, anche le esperienze cittadine, a Prato, Torino, Roma e soprattutto Firenze. Ma la famiglia, la natura, la terra, la gente del suo paese di origine sono sempre restati saldi punti di riferimento della sua vita ed hanno offerto alcuni dei più significativi motivi ispiratori della sua opera artistica. Quasi una lente di ingrandimento attraverso cui interpretare il mondo, originata da una naturale spontaneità ma anche da lui ad arte sapientemente costruita: da Seano al mondo, dal mondo a Seano.

 

A Seano Quinto Martini ha lasciato un segno tangibile del suo attaccamento nel "Parco-Museo" elaborato e realizzato dal Comune di Carmignano nel corso degli anni '80. E' un'area pubblica, all'aperto, ai piedi della deliziosa catena di colli del Montalbano. All'interno vi sono collocate 36 statue bronzee che coprono l'intero arco della sua attività artistica. In una intervista a Marco Moretti del 31 ottobre 1988 l'artista così esprime la sua idea ispiratrice e il suo stato d'animo nei confronti del Parco-Museo: "Le mie sculture vogliono prima di tutto esprimere la semplice vitalità di questa terra. Non quindi la delimitazione di un museo, ma un appropriato inserimento in quella natura da dove sono state tratte e dove tutti possono avere le loro ore di libertà (…). Ognuna di queste statue risponde dentro di me con un suono diverso: diverso per il ricordo di una particolare situazione, di un particolare stato d'animo, di una diversa età. Quando vengo qui ciascuna mi parla con una sua voce, che è poi la mia del tempo d'allora. Ognuna di esse è figlia di un mio tempo diverso, che così alla distanza non riuscirei neanche più a mettere precisamente a fuoco, forse perché non ho mai dato importanza alla registrazione del tempo o di quanto mi accadeva intorno".

 

Gli anni della formazione a Firenze e Torino. Le prime mostre

"Nella primavera del 1926 conobbi Ardengo Soffici a Poggio a Caiano, che è vicino a casa mia e incoraggiato da lui cercai di dedicare più tempo che mi fosse possibile all'arte, dipingendo e modellando. La natura e Soffici sono dunque stati i miei soli maestri". Soffici riconobbe subito la mano dell'artista nei lavori del giovane autodidatta, con il quale stabilì un sodalizio forte e determinante per la formazione di Quinto Martini. Vi era fra i due una forte convergenza di sensibilità e di gusto per l'incontro diretto, sia umano che artistico, con la realtà della campagna.

Soffici gli mise a disposizione la sua ricca biblioteca, lo guidò verso la conoscenza dell'arte e degli artisti: i francesi Cézanne, Degas, Rousseau, Picasso, gli italiani da Spadini a Morandi, i cubisti, i futuristi. Lo introdusse nel cuore della vita intellettuale e artistica fiorentina, cominciò a presentarlo al pubblico. Nel febbraio del 1927 alla prima mostra del "Selvaggio", accanto alle opere di Mino Maccari, Carlo Carrà, Ottone Rosai, Giorgio Morandi, Achille Lega, c'erano anche i suoi dipinti, nello stesso periodo alcuni disegni e incisioni venivano pubblicati sulla rivista strapaesana "Il Selvaggio" diretta da Maccari.

 

Accanto all'esperienza fiorentina rilevanti sono stati per Quinto Martini i rapporti con l'ambiente pratese degli anni '20, e il soggiorno a Torino, nel 1928-29, per il periodo di leva. A Prato faceva parte di un gruppo di operai, intellettuali, artisti che si era costituito intorno al 1925 per aggregazione spontanea. Tra gli artisti del gruppo c'erano Oscar Gallo, Leonetto Tintori, Gino Brogi, Arrigo Del Rigo, quasi tutti si erano formati alla "Leonardo", la Scuola d'Arte e Mestieri di Prato, e gravitavano intorno ad Ardengo Soffici e alla rivista Il Selvaggio. A Torino, attraverso la conoscenza di Felice Casorati, Cesare Pavese, Carlo Levi ed altri esponenti di una delle realtà culturali più vive di quel momento, allargò ulteriormente il suo orizzonte culturale verso l'esperienza artistica d'oltralpe. Tornato a Firenze, dove ha stabilmente risieduto dal 1935 fino alla morte, Quinto ricominciò a frequentare Soffici e fra l'altro gli fece da assistente in alcuni dei suoi lavori di affresco. Ma anche in questo periodo rimase fondamentalmente un autodidatta. Andava all'Accademia, ma solo per la scuola di nudo, senza frequentarne i corsi. Attraverso Soffici conobbe Piero Bargellini, allora direttore della rivista Il Frontespizio, dove cominciò a pubblicare incisioni e a frequentare artisti (Giacomo Manzù, Giorgio Morandi, Pietro Parigi, Ottone Rosai) e letterati (Carlo Betocchi, Carlo Emilio Gadda, Mario Luzi, Eugenio Montale, Aldo Palazzeschi) tra i più importanti del tempo. Negli anni immediatamente precedenti e seguenti la seconda guerra mondiale ha frequentato anche l'ambiente artistico e letterario romano.

 

Sul piano della produzione artistica durante questo periodo Quinto ha rivolto la sua attenzione principalmente verso due obbiettivi: i dipinti sui Mendicanti e le prime mostre personali di scultura. I dipinti della serie i Mendicanti, eseguiti tra il 1925 e il 1943, sono fondamentali per capire la sua evoluzione creativa. Come ha mostrato Marco Fagioli – il maggiore studioso di Quinto Martini - essi testimoniano il suo sostanziale distacco dal linguaggio monumentale e aulico di Soffici, determinato dal bisogno di seguire una via tutta personale che da un lato si richiamava alla tradizione quattrocentesca toscana e dall'altro guardava alle nuove realtà artistiche contemporanee, soprattutto al Picasso del periodo blu e rosa studiato nella casa dello stesso Soffici.

Intanto l'interesse dell'artista si spostava sempre più sulla scultura. In quegli anni era forte presso gli scultori, da Arturo Martini a Marini Marini, il richiamo alla coroplastica etrusca, apprezzato anche dai critici. Secondo Lucia Minunno le figure di Quinto Martini, in terracotta o in gesso dipinto di rosso, corrispondevano a questo gusto diffuso, "nelle loro forme piene e un po' tozze, spesso mutilate degli arti come negli esempi antichi (e in quelli moderni di Marini), e con i particolari del viso incisi". Così le sue prime sculture incontrarono subito il favore della critica. La Ragazza senese in terracotta, esposta nel 1934 alla XIX Biennale di Venezia, fu apprezzata e segnalata da Nino Bertocchi. Questa scultura si trova ora alla Galleria d'arte moderna di Palazzo Pitti. Le prime mostre personali di scultura si svolsero nel 1938 a Firenze, presso la "Galleria d'arte Firenze", e nel 1939 a Roma, presso la "Galleria della Cometa", entrambe presentate da Ardengo Soffici. Da 1935 al 1973 ha partecipato a tutte le edizioni della Quadriennale romana, dove nel 1939 un'intera sala fu allestita solo con le sue sculture. Molti, in Italia e all'estero, i riconoscimenti ufficiali.

 

Gli anni della guerra. L'opera letteraria

Nel 1943 Quinto Martini espose un'antologia dei suoi dipinti sui Mendicanti al "Lyceum" di Firenze, ma pochi giorni dopo l'inaugurazione la mostra venne fatta chiudere dalle autorità. Come osserva Marco Fagioli i dipinti, "nella loro acerba eppur profonda 'critica del reale', non erano graditi al regime". La passione sociale che traspare dai dipinti aveva radici profonde. La famiglia Martini era comunista e antifascista, il fratello maggiore Aurelio, al quale l'artista era molto legato, si trovava nelle carceri fasciste a scontare quindici anni di pena. Anche Quinto, poco tempo dopo la mostra al "Lyceum", finì nelle carceri fasciste insieme all'amico Carlo Levi, nella stessa cella dove era stato il fratello. Dal ricordo di quelle esperienze familiari è nato il lungo racconto autobiografico I giorni sono lunghi, scritto nel 1944 ma pubblicato nella sua stesura definitiva nel 1957, per le edizioni dell'Avanti e con la prefazione di Carlo Levi. Negli anni '50 Quinto ha inoltre pubblicato, soprattutto sul "Nuovo Corriere" di Firenze, alcuni racconti, qualche poesia, delle molte ancora inedite che ha lasciato, e nel 1974, a Catanzaro per Frama's Edizioni e a cura di Pasquino Crupi, il secondo romanzo, steso alla fine degli anni '50, Chi ha paura va alla guerra, nel quale racconta la storia di un disertore della prima guerra mondiale.

 

Il sentimento fondamentale che anima la sua opera letteraria è la sottolineatura del più forte grado di autenticità e di verità umana presente nella civiltà della campagna. Esso lo porta a rappresentare, in termini sommessi e non retorici, la fierezza del mondo contadino, la sua capacità istintiva di reagire alle situazioni più dure in una realtà sociale caratterizzata da penuria e da forti disparità di classe e infine il formarsi al suo interno di una speranza e di una volontà politica rivolta a "creare un mondo dove non ci fosse chi muore di fame e chi muore invece dal troppo mangiare" che si esprimeva nell'adesione di molti al comunismo e alla lotta antifascista. L'universo di valori testimoniato in I giorni sono lunghi è presente anche nelle pagine di Chi ha paura va alla guerra, dove il confronto fra una consapevole opzione laica che fa leva sulla volontà dell'uomo e vuol essere efficace e una pietà popolare considerata dall'autore viva, autentica e degna del massimo rispetto, ma in fondo inefficace, conferisce un carattere etico-civile (e anche religioso) alla tematica affrontata.

 

Scrittura e scultura

Con la fine della guerra inizia per Quinto Martini una stagione di grande dinamismo creativo, grazie anche alla collaborazione con Piero Bargellini, assessore alla cultura e braccio destro di Giorgio La Pira sindaco dal 1951. Negli anni '50 e '60 riceve molte committenze, pubbliche e private, per opere di decoro urbano ed ecclesiastico. Crea le sculture per la Borsa Merci, Allegoria della filatura, e per la Sede RAI di Firenze, Immagini nello spazio, comunemente chiamate Onde della radio; la lunetta della Chiesa di San Francesco, San Francesco che riceve le stimmate; i tabernacoli di via Cherubini, Madonna con Bambino, e di via Bolognese, Ave Maria Regina di Firenze; le decorazioni dell'Hotel Lucchesi. A queste ed altre opere ha dedicato un ampio studio Anna Mazzanti, dove sottolinea la capacità di "vivace sperimentazione" di un artista "stilisticamente aperto e insieme di principi rigorosi", che mirava a "risultati sempre leggibili e comprensibili al pubblico". Nel 1947 Quinto aveva aderito, insieme a Ugo Capocchini, Emanuele Cavalli, Oscar Gallo, Onofrio Martinelli, al "Nuovo Umanesimo" animato da Giovanni Colacicchi. Nel "manifesto" il gruppo dichiarava la propria opposizione ad ogni idea di arte astratta e ribadiva il valore della tradizione figurativa, in un momento storico in cui secondo Quinto era necessario riaffermare la funzione sociale dell'arte come "condizione determinante per la vitalità di una opera d'arte". In un intervento in forma di lettera sollecitata dall'amico Romano Bilenchi, pubblicata il 15 dicembre 1953 in "Il Nuovo Corriere", affermava: "Il pubblico si è sempre avvicinato a quelle forme di arte dove esso si riconosce, cioè a quelle espressioni di vita alle quali partecipa. (…) Scuole e tendenze non potranno mai conquistarsi la sua comprensione, se quello che viene creato dagli artisti non rappresenti con chiarezza la vita che gli uomini stessi si creano".

 

Coerente con questa impostazione Quinto ha sempre rifiutato di identificarsi con gruppi e tendenze artistiche, dalle quali traeva tuttavia stimoli ad aggiornarsi, a riconsiderare con spirito di libertà il suo "modo di vedere il reale", come scrive Anna Mazzanti. Con lo stesso spirito riandava continuamente ai grandi artisti del passato e intendeva la "rinascita classica" come una riscoperta della "'scrittura' calligrafica e tecnica dei maestri antichi", sui quali in quegli anni teneva conferenze e scriveva articoli. Una parte dei suoi studi critici dedicati alla scultura di Donatello, Michelangelo e Rodin sono stati pubblicati da Pananti nel 1990, nella raccolta Scrittura e scultura (Firenze, Pananti, 1990), dove per 'scrittura' deve intendersi il modo di operare dell'artista, cioè il modo di usare lo scalpello e gli altri strumenti di cui si serve lo scultore, perché solo così è possibile verificare se a livello di 'scrittura' un'opera può essere riconosciuta o meno come quella di uno di questi artisti. Ed era il suo modo di operare, di fare scultura che l'artista cercava di trasmettere agli studenti durante gli anni di insegnamento a Torino, Perugia, Bologna, e infine all'Accademia di Belle Arti di Firenze, dove ha tenuto la cattedra di scultura fino al 1977.

 

Tra le molte opere di scultura lasciate da Quinto Martini un'attenzione particolare meritano i Ritratti e la Pioggia. Quinto amava fare ritratti e ad essi si è dedicato fino dalle prime esperienze scultoree, ritraendo familiari, amici, compaesani. Di grande rilievo sono i ritratti in terracotta, gesso, bronzo fatti alla madre, a Soffici, alla moglie Maria, esposti più volte a mostre importanti. Molti sono i Ritratti degli amici, artisti, letterati, intellettuali, che ha modellato con il gesso dalla fine della guerra fino quasi all'anno della morte, in un dialogo durato decenni, una sorta di emblematica traduzione figurativa dei significativi rapporti intessuti con loro. Dai suoi diari traspare la gioia interiore che questo lavoro gli procurava, pur nella consapevolezza dell'intrinseca difficoltà di una ricerca volta a porre in luce gli aspetti della personalità di ciascun ritrattato che con più acutezza lo avevano colpito, fino a costituire elemento non solo di caratterizzazione psicologica, ma anche di giudizio culturale. Di qui le diverse versioni dedicate allo stesso personaggio e il bisogno di ritornare continuamente sui ritratti, modellati alcuni, i più antichi, con il soggetto in posa, altri sulla base della memoria supportata da fotografie, ritagli di giornale. Nel 1992, due anni dopo la sua morte, 30 di questi ritratti sono stati esposti a Firenze, in Palazzo Strozzi, secondo un progetto steso dall'artista nel 1984.

 

Dal 1964 e soprattutto dopo l'alluvione di Firenze del 1966 Quinto ha elaborato il tema della Pioggia in disegni e bassorilievi, dove ha sperimentato nel rilievo per il bronzo "immagini della pioggia così preziose", "invenzioni così raffinate" che secondo Francesco Gurrieri non sarebbero state possibili se non con una formazione e un background come egli aveva di conoscenza profonda delle varie tecniche artistiche. Di queste opere hanno scritto anche Mario Luzi, Renzo Federici, Tommaso Paloscia, Carlo Levi, durante la mostra del 1978 in Palazzo Strozzi.

"Io mi attacco all'arte e lei non molla me e io non mollo lei"

Il motivo dominante della vita di Quinto Martini, costante nelle autopresentazioni dell'artista, è stata la sua passione per l'arte e per il proprio lavoro artistico, lavorare era per lui una "malattia" e insieme una "terapia", un motivo inesauribile di piacere e in ogni caso sempre una ragione imprescindibile del proprio vivere. Considerava l'arte una dimensione assoluta e pressoché incomunicabile dello spirito: "d'arte un artista ne parla seriamente solo quando la fa", annota in un appunto senza data, e l'artista si rivela attraverso le opere: "Lavoro molto, perché stimo che soltanto lavorando si può arrivare naturalmente a risolvere tutti quei profondi problemi dell'arte che l'intelligenza non potrebbe mai per astrazione risolvere. Un artista che ha un impegno con se stesso ha un impegno anche con la società".

 

Lavorare per Quinto significava in primo luogo 'ricercare e sperimentare'. In più modi nei suoi appunti ha cercato di delineare questa dimensione del suo lavoro che per lui era fonte di gioia e che lo ha portato ad acquisire una grandissima ricchezza di tecniche artistiche, tali da consentirgli di passare, in maniera assolutamente naturale, dalla scultura alla pittura, al disegno, alla grafica. Certamente Quinto Martini si riteneva soprattutto uno scultore, ma nella sua esperienza quotidiana di artista disegno, pittura e scultura interagivano in una profonda circolarità. La sua preferenza più intima era per il disegno, era un "instancabile disegnatore" e più di una volta si era proposto soprattutto di disegnare. In alcuni degli artisti da lui più amati, Michelangelo, Leonardo, Ingres reputava i disegni "superiori alle loro opere di pittura e di scultura". Mentre il dipingere era per lui una gioia, una gioia personale. Le annotazioni dei diari confermano questo sentimento e attestano il piacere che gli dava il dipingere il paesaggio della sua amata campagna e la ricerca di volta in volta del colore e della tecnica più adatta. Ci dicono inoltre quanto l'esperienza della pittura e quella della scultura fossero per lui circolari e complementari: "Quando dipingo penso alla scultura e quando faccio scultura penso alla pittura". Fra le opere che evidenziano la sua grande capacità di sperimentazione occorre ricordare i bassorilievi, i disegni, le litografie dedicate alla Divina Commedia di Dante Alighieri. Anche queste opere sono state esposte sia in Italia che all'estero, a Varsavia e, negli ultimi mesi della sua vita, a Mosca nella Biblioteca Nazionale V.I. Lenin, in una mostra che ha esaudito un grande desiderio dell'artista.

 

Quinto Martini è morto a Firenze il 9 novembre 1990 ("Sotto terra / mi farò terra / come la terra / sentirò / freddo / caldo / pioggia / vento / solo così vivrò / lungo tempo / come la terra").

 

 

Da: Quinto Martini. Omaggio a Dante, a cura di Luciano Martini e Teresa Bigazzi Martini, Edizioni AIÓN, Firenze, 2006, pp. 182-189.

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