Nella luce tersa dello studio di Seano ed in quella più acquosa della stanza di lavoro in Via dei Della Robbia, a Firenze, Quinto Martini conduce da decenni, attraverso la pittura, una sorta di dialogo ininterrotto con se stesso, gli uomini e la cultura del Novecento.
Si può affermare che la sua pittura non ha ancora avuto l'attenzione critica già dedicata alla scultura. Partendo dalle iniziali premesse sofficiane, della riscoperta di una severa struttura insita nel paesaggio toscano, Martini è andato via via ripercorrendo un colloquio ed una riflessione con gran parte degli eventi del Novecento pittorico: dagli esordi della mostra al Selvaggio, 1927, con Soffici, Rosai, Lega, Morandi e Maccari, alla mostra alla Cometa del 1939, dove Soffici scrisse del giovane Martini scultore: "
Per me, che ho visto nascere e avviarsi alla loro perfetta vitalità queste gentili e sobrie immagini di gioventù nuda, queste forti figure di terracotta o di pietra, questi vigorosi ritratti - tra cui eccellente quello della vecchia madre dell'autore – è una gioia vera presentare così alla buona quello che fu ai miei occhi il ragazzetto Martini, ora fatto adulto confratello d'arte, e di additare in lui una forza operante, genuina, fresca, feconda, nella scultura italiana del tempo nuovo". Da allora fino agli esiti recentissimi, in quell'instancabile operare quotidiano intorno ai quadri di questi anni, tutta la pittura di Martini, [...] è una ricerca costante, quasi strutturale, condotta su alcuni temi: le colline di Seano, i boschi, le nature morte, i grandi close-up di paglia e sterpi, le figure dei contadini, il ritratto.
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